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Corro per la via del tuo amore

 


 


Camminare sulla via dell’amore
è l’impegno di ogni cristiano
per vivere la pienezza della propria vocazione.

Chi ama corre...




INVITO DEL PAPA BENEDETTO XVI° ALLA PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Signore Gesù,
ai tuoi Apostoli, come Risorto, hai affidato un prezioso mandato:
“Andate ed ammaestrate tutte le nazioni…”,
rassicurando loro e noi:
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Hai chiesto ai tuoi discepoli di farsi carico del bisogno delle folle,
a cui volevi offrire non solo il cibo per sfamarsi,
ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna”.
Da questo tuo sguardo di amore
sgorga per tutti noi, ancora oggi, il tuo invito:
“Pregate dunque il padrone della messe,
perché mandi operai nella sua messe”.
Aiutaci a comprendere, o Signore, che corrispondere alla tua chiamata
significa affrontare con prudenza e semplicità
ogni situazione di difficoltà e sofferenza nella vita,
perché “un discepolo non è da più del suo maestro”.
Grazie, o Signore,
per le “testimonianze commoventi” che sempre ci doni,
capaci di ispirare tanti giovani a seguire a loro volta Te, che sei la Vita,
trovando così il senso della “vita vera”.
Grazie per questi “testimoni della missione”, liberi di lasciare tutto,
per annunciare Te con profonda originalità e umanità.
Santa Maria, Regina degli apostoli, Madre della speranza,
insegnaci a credere, sperare e amare con te.
Stella del mare, brilla su di noi,
rendici “missionari della speranza” e guidaci nel nostro cammino!

Amen


CORRO PER LA VIA DEL TUO AMORE

In piena sintonia con il messaggio del Papa per questa GMPV, il Centro Nazionale Vocazioni ha sintetizzato in questo slogan il tema della Giornata: Corro per la via del tuo amore. L'incontro con il Risorto fa di ogni battezzato un suo testimone.
La via sulla quale correre per annunciarlo ai fratelli è la stessa che egli ha percorso venendo al mondo: l'amore. E' "l'amore di Cristo che ci spinge" ( 2Cor 5,14) a condividere con i fratelli il dono della fede.
Corre la Vergine Maria per recarsi a casa di sua cugina Elisabetta e donarle la presenza di Cristo; corre la Maddalena per annunciare agli apostoli che Cristo è risorto; corrono Pietro e Giovanni verso il sepolcro vuoto del Signore...
Chi ama corre, afferma il vescovo Sant'Agostino.
Cristo non solo ci indica la via, ma egli stesso si è fatto Via per incontrare ogni uomo e ogni donna: con l'incarnazione egli si è unito ad ogni uomo. Per questo " via della Chiesa è l'uomo", come affermava Giovanni Paolo II.
La via dell'amore è, pertanto, a doppio senso: dall'incontro con Cristo al servizio dei fratelli. Preghiamo perchè soprattutto i giovani sentano la gioia di correre per la via del suo amore, accogliendo anche l'eventuale chiamata al sacerdozio e alla vita consacrata.

Antonio Ladisa, Centro Nazionale Vocazioni


LE VOCAZIONI AL SERVIZIO DELLA CHIESA MISSIONE

Nelle parole sapienti che anche quest’anno il Papa ci propone, attraverso la sua lettera-messaggio per la prossima GMPV, egli esprime il tema della missionarietà in chiave di annuncio di una “buona notizia”,  e Dio sa quanto abbiamo bisogno di “notizie belle e rincuoranti”, in giorni che spesso sono oscurati da notizie di violenza, di intolleranza, di costante provocazione e disorientamento che ci avvolgono.
Papa Benedetto sa declinare, con delicatezza e tenerezza, quel tratto profondamente “umano”, tipico della figura di Gesù, che sorprende ancor oggi e stupisce tutti coloro che si lasciano cogliere nel profondo del loro cuore dalla bellezza del volto di Cristo, anche quando esso porta i segni “sfiguranti” della passione. In quell’ “Ecce homo” che Pilato pronuncia davanti alla folla assemblata nel cortile del Pretorio, c’è tutta la verità e il dramma angosciante dell’uomo sfigurato di ogni tempo e di ogni storia…
Così si esprime il Papa:

“E Gesù si scelse dei discepoli, come stretti collaboratori nel ministero messianico, già nella vita pubblica, durante la predicazione in Galilea. Ad esempio, in occasione della moltiplicazione dei pani, Egli disse agli Apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare" (Mt 14,16), stimolandoli così a farsi carico del bisogno delle folle, a cui voleva offrire il cibo per sfamarsi, ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Era mosso a compassione verso la gente perché, mentre percorreva le città ed i villaggi, incontrava folle stanche e sfinite, “come pecore senza pastore” (cf Mt 9,36). Da questo sguardo di amore sgorgava il suo invito ai discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,38).

La missionarietà come “capacità di prendersi cura di…”, come fa il buon Samaritano nei confronti di quel poveretto, vittima della violenza della strada, allora come adesso.
Gesù si fa carico del bisogno della gente, soprattutto di quella che è oppressa, stanca e sfinita, e induce anche i suoi apostoli a fare altrettanto.
Questo è veramente il senso e il coraggio dell’amore; ogni amore vero deve varcare la stessa soglia: compiere il passaggio straordinario  dal possedere al proteggere! 
A­mare: voce del verbo mori­re….
Amare: voce del verbo vivere…
Significa dare e mai prendere, amare per pri­mo, in perdita e senza fare conti di un ritorno personale e gratificante. Il coraggio dell'amore: ec­co la profezia “missionaria” di cui il nostro tempo ha ancora bisogno, e per cui trova dei testimoni luminosi capaci di indicare i punti – luce verso cui dirigere il timone della nostra piccola barca, nel tumulto del mare in tempesta.
Per questo suo coraggio, Dio a­vrà un Figlio tra noi: un Figlio che diviene l’Amore crocifisso e amante sino all’ultimo respiro: “Tutto è compiuto”.
E’ ancora il Papa a ribadire questo aspetto, nel suo messaggio vocazionale:

“Occorre ringraziare Dio per i tanti sacerdoti che hanno sofferto fino al sacrificio della vita per servire Cristo ... Si tratta di testimonianze commoventi che possono ispirare tanti giovani a seguire a loro volta Cristo e a spendere la loro vita per gli altri, trovando proprio così la vita vera” (Lett. ap. Sacramentum caritatis, 26). Attraverso i suoi sacerdoti, Gesù dunque si rende presente fra gli uomini di oggi, sino agli angoli più remoti della terra” (Messaggio  per la GMPV 2008, n. 5).

Il Messaggio che il Papa ci dona, scende nella profondità del cuore e della vita, per interpretare il senso profondo della comune missionarietà dell’amore a cui tutti siamo “chiamati”, e che richiede una “full immersion” a ciascuna delle nostre esistenze…
“Da sempre nella Chiesa ci sono poi non pochi uomini e donne che, mossi dall’azione dello Spirito Santo, scelgono di vivere il Vangelo in modo radicale ( …)   Di loro, il Servo di Dio Paolo VI° ebbe a dire: “Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione.
Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve molto a loro” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 69).” (Messaggio per la GMPV 2008, n. 6)

E’ il tema che ci ha guidati in tutta la proposta di formazione vocazionale, curata dal Centro Nazionale vocazioni, in questo anno di cammino pastorale.
Già il tema che è stato affrontato nel Convegno vocazionale di Gennaio,  è stato in totale e profonda sintonia con il cammino della Chiesa Italiana e con le tematica che  Papa Benedetto XVI° ci ha proposto nelle recenti Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni: dalla “Chiesa-mistero”, alla “Chiesa-comunione”, per approdare alla “Chiesa –missione”.
Questo ci ha portato allora, e ci porta adesso, nel prossimo Seminario di formazione alla Direzione Spirituale presso il Centro Carraro di Verona (25-28 marzo p.v.), a cercare insieme le modalità, “il come” vivere i cammini vocazionali che ci vedono testimoni e animatori, come segno di una Chiesa capace di un atteggiamento tipicamente paolino: la “parresìa”; la ripresa di quel coraggio e di quella fiducia che sa osare, perché raccoglie le sfide del quotidiano; perché ci sentiamo realmente “Chiesa-missione”, dentro ai sentieri spesso complicati e sofferti delle donne e degli uomini del nostro oggi.
E’ un focalizzare la dimensione della “missionarierà” come elemento essenziale e portante di ogni comunità cristiana, ma anche di ogni “annuncio – proposta – accompagnamento vocazionale”.

Abbiamo voluto declinare, in maniera insieme poetica e provocatoria, questa dimensione della “missionarietà”, attraverso lo slogan della prossima GMPV del 13 aprile.

“Corro per la via del tuo Amore”

C’è un aspetto essenziale da sottolineare in questa proposta del CNV: scoprire la particolare ottica biblica per cui … il “correre” non è frenesia, ma “sapienza del cuore”…
Personalmente, quello che maggiormente mi colpisce nello slogan di quest’anno, lo potrei esprimere così: c’è una profonda differenza tra “l’essere di corsa” e … “l’essere in corsa”.
La frenesia della vita porta tutti noi a non trovare spazi di silenzio, di ascolto, di interiorizzazione, perché saturi delle mille cose da fare, diveniamo anche noi come Marta, nel bellissimo episodio di cui ci parla il Vangelo di Luca 10,38-42:

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’é bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".

L’essere di corsa può significare veramente lasciarci risucchiare da quelle che il Vangelo chiama le “mérimnai”, gli affanni, le preoccupazioni, le frenesie della vita di tutti i giorni, perdendo la preziosa opportunità di gustare la bellezza di quello che Gesù chiama la “parte migliore”: il donarsi del tempo di silenzio, di ascolto, di relazione, di affetti e sentimenti condivisi, non in un banale intimismo o sentimentalismo, ma nella profondità dello scambio del cuore.
Ahimé, tutti noi siamo come prigionieri di uno stesso stile di vita, che ci proietta dentro alla girandola frenetica di urgenze ed emergenze non sempre così essenziali; saliamo tutti su di un carrozzone sempre in corsa, che ci fa riempire l’esistenza di cose da fare, senza però il gusto di poterne assaporare la bellezza e la profondità, nell’istante in cui le viviamo…
Siamo ammalati di efficientismo e su tutti noi tiranneggia quella che possiamo chiamare una sindrome nevrotica del nostro tempo: “l’horror vacui”: la paura del vuoto, cioè del tempo in cui non abbiamo qualcosa fare. Questo ci porta ad intasare ogni opportunità di relazione calma e condivisa con gli altri.
Per qualsiasi operatore pastorale, ma soprattutto per i presbiteri, i diaconi e i consacrati, credo che questa sia una delle grandi tentazioni a cui dobbiamo fare fronte, perché il nostro sevizio primario è quello di essere persone capaci di dare senso alla propria vita in un modo calmo e riconciliato, per trasmetterlo come gusto e come ricerca ai giovani che incontriamo e che spesso domandano una risposta concreta al nichilismo culturale e al vuoto interiore di tante vite inaridite  e asfittiche.
Questa è la mediocrità del cuore che Gesù proprio non ama…
Com’è diversa la prospettiva dell’essere persone “in corsa”; non dei fuggitivi, ma degli atleti che tendono verso la meta da raggiungere, anche se questo domanda sforzo, impegno, abnegazione… e anche (ma questa è una parola impopolare da pronunciare, oggi), rinuncia!
Ci aiutano le provocanti ma efficaci parole di S. Paolo, in 1 Cor 9,24-25

Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile

Per questo Paolo ribadisce ancora con forza questa sua convinzione in 2 Tim 4,6-7:

Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.

L’essere in corsa è sempre legato ad una meta da raggiungere, ad un traguardo da tagliare. Proprio in questi giorni mi è stato chiesto un colloquio da una signora di mezza età che, dopo avere partecipato alla S. Messa della domenica, voleva un confronto ed un consiglio. Si presenta come una persona dall’animo delicato, colto, con un grande senso della bellezza artistica e musicale, eppure…. Lei si percepisce come assolutamente desolata, perché sente che la sua vita, in questo momento, manca di una meta verso cui andare, non ha qualche persona a cui voler bene e da cui sentirsi riamata.
E questo l’ha fatta sprofondare in una profonda solitudine esistenziale ed affettiva. La mancanza di una meta da raggiungere, di un senso esistenziale, spirituale… e certamente anche vocazionale, da dare alla propria esistenza: ecco  uno dei mali interiori di cui, oggi, le persone soffrono. La via dell’amore è l’unica in grado di dare un senso profondo e totale alla nostra esistenza.
Ce lo ricorda  Papa Benedetto XVI°:

“Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo  prigionieri e in qualche modo presagire che l'eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia”. (Spe salvi, 12)

Immergersi nell’oceano dell’Infinito Amore che diventa la pienezza della vita stessa… Che bellezza questa intuizione, eppure ben  presente in coloro che l’amore lo vivono e lo esprimono nelle proprie scelte di vita.
Recentemente l’ho visto sul volto di una giovane coppia di sposi, nel giorno del loro Matrimonio, preparato nella tribolazione di una grande sofferenza e forse, proprio per questo, ancor più vissuto nella gioia dell’abbandono reciproco.
L’ho visto negli occhi di una coppia che a lungo aveva atteso la nascita di un bambino e che  poi, in un inno di amore alla vita, ha adottato un bimbo di una terra lontana.
L’ho visto negli occhi, carichi di una gioia intensa e direi quasi inesprimibile, di alcune giovani nel Rito della loro Prima Professione, mentre donavano al Signore la loro vita, il loro cuore, con la trepidazione e l’entusiasmo della amata del Cantico.
Questa è la forza dell’amore vero. Questa è la via su cui prendere un abbrivio di corsa che ti porta a non fermarti più…  Eppure, e noi non possiamo dimenticarlo, l’amore oggi non è solo fatto di una bellezza appagante e di una gioia incontenibile; spesso, troppo spesso, il nostro tempo ci fa vedere un amore triste, perchè ammalato.
Oggi più che mai si ha la sensazione di sentire parlare e sparlare dell'Amore: ma esso non è più una parola sussurrata, ma "gridata", mercificata , data in ostaggio alla audience televisiva.
Non vorremmo cadere in inutili sdolcinature e neppure in pretese poetiche fuori luogo: ma l'amore è una realtà delicata!
E allora, perchè non la si tratta con delicatezza? Perchè è divenuta una realtà gridata, intrisa di un vocìo banale e vuoto?
Occorre trovare il tempo e forse il coraggio di metterci al capezzale di questo Amore fragile, vulnerabile e profondamente ferito.

Rimane altrettanto intensa e straordinaria la testimonianza che il Papa riporta nella sua enciclica sulla Speranza, a proposito di S. Giuseppina Bakita, la suora “moretta” che veniva da una terra così martoriata come è il Darfùr, liberata dalla sua schiavitù per vivere un abbandono di amore ad un “Paròn” (Signore-Padrone) assolutamente diverso.

“Dopo « padroni » così terribili di cui fino a quel momento era stata proprietà, Bakhita venne a conoscere un « padrone » totalmente diverso – nel dialetto veneziano, che ora aveva imparato, chiamava « paròn » il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. Fino ad allora aveva conosciuto solo padroni che la disprezzavano e la maltrattavano o, nel caso migliore, la consideravano una schiava utile. Ora, però, sentiva dire che esiste un « paròn » al di sopra di tutti i padroni, il Signore di tutti i signori, e che questo Signore è buono, la bontà in persona. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei – anzi che Egli la amava. Anche lei era amata, e proprio dal « Paròn » supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi. Lei era conosciuta e amata ed era attesa… (Spe salvi, 3)

Credo che  un piccolo mandato per vivere la … “missionarietà dell’amore”, proiettati a celebrare la GMPV del 13 Aprile 2008, possa essere interpretato e riletto alla luce dalle parole di una stupenda preghiera-meditazione del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer:

Dio è vicino a ciò che è piccolo,
a ciò che è insignificante e reietto,
a ciò che è debole e spezzato.
Quando gli uomini dicono “perduto”, Egli dice “trovato”.
Quando gli uomini dicono “condannato”, Egli dice “salvato”.
Quando gli uomini dicono “no”, Egli dice “sì”.
Quando gli uomini distolgono il loro sguardo con indifferenza o con alterigia,
ecco il Suo sguardo ardente d’Amore come non mai…
Gli uomini dicono abbietto!”, e Dio esclama: “beato!”

don Nico Dal Molin, Direttore Centro Nazionale Vocazioni